Lorenz Langenegger, Zurigo (CH)

Nato nel 1980 a Gattikon, vive a Zurigo Studi di Scienze teatrali e politiche a Berna, dove ha iniziato l’attività per il teatro.

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Videoritratto

 

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L’uomo con l’orologio

 

Viktor si sta chiedendo se sia un sollievo il fatto che l’asilo sia vicino rispetto al cimitero, quando imbocca la via e volta l’angolo, lì dove può sentire le risa dei bambini e può vedere i loro volti felici, quando si lasciano dondolare dall’altalena al di sopra della siepe, si sta chiedendo se questo oggi potrebbe essere di conforto. Fino ad ora non si è mai seduto su di una panchina del parco di fronte all’asilo, piuttosto sempre su di una del cimitero. Lui sceglie il cimitero perché valuta la tranquillità, solo la tranquillità, non per esempio il silenzio di morte, come era solita insinuare Marie nei giorni di pioggia. Inoltre le panchine vicino all’asilo di giorno sono occupate dalle mamme e di sera dalle famiglie. Vengono lì per giocare e hanno tutto il diritto di sedersi su quelle panchine. Le mamme giocano mentre aspettano i loro bambini, con quelli più piccoli nel cassone di sabbia o nel castello delle funi. I tamil distribuiscono le carte alla luce del lampione e fanno girare whisky che loro allungano con cola. Circa che cosa stiano aspettando, Viktor può fare solo speculazioni: pace nella loro patria, notizie dai parenti. Per lui, questa era la sua visione delle cose, e l’ha esposta con pazienza anche a Marie quando lei gli chiese il perché delle sue frequenti soste al cimitero, non era rimasta nessun’altra panchina. Il fatto che lui visiti cimiteri non ha nulla a che fare con le tombe, e neppure con i morti che vi si trovano, lui, di quelli, non ne conosceva neppure uno, sebbene di tratti di un grande cimitero, respinge tassativamente qualsiasi predilezione macabra per la società dei morti, ha a che fare solo con l’offerta di panchine e con la tranquillità, nient’altro. La supposizione che sia un uomo triste lui non può confermarla in alcun modo. Non è neppure più malinconico di altri. Oggi in ogni caso, devo ammetterlo, oggi è rimasto disteso nel letto, sebbene fuori abbia fatto giorno già da tempo.

Viktor sfila davanti all’asilo, cammina accanto alle grosse persiane verdi degli appartamenti in cooperativa, attraversa la strada principale e ancor prima di aver raggiunto l’ingresso del cimitero sa che vi entrerà, sebbene non possa nominare alcuna altra meta. Quando, come fa oggi, non imbocca il viale principale del cimitero, non gli resta altro che camminare intorno al cimitero stesso. Le vie molto trafficate che costeggiano il muro sono una cattiva alternativa ai prati di fiori, alle querce e ai platani sporgenti, alle fontane e alle panchine che lo attendono all’interno del muro. Dopo un giro attorno al cimitero farà un secondo tentativo di attraversare la grande porta in ferro forgiato e prendere la cricchiante ghiaia del viale principale sotto le suole. Nel caso in cui anche il secondo tentativo fallisse, tornerà a casa senza aver combinato nulla, dove l’attenderanno ancora molte lunghe ore prima che la sera incipiente gli consenta di accendere la luce. E questo sebbene serva poca sera affinché l’oscurità nel suo appartamento ombreggiato nel piano rialzato renda necessaria una pressione sull’interruttore. In una bella giornata di piena estate, i raggi del sole di mezzogiorno cadono per un’ora sulla strada attraverso le finestre della sue due stanze. Già alla fine di settembre Viktor deve sedersi sul davanzale della finestra per poter sentire i caldi raggi sul suo viso. L’unica luce solare che cade attraverso la finestra della cucina e della camera da letto che dà sul cortile è quella che viene riflesse di notte dalla luna.

Viktor non si è mai lasciato turbare dalla vista limitata. Davanti alla sua finestra passa una breve strada a senso unico. Ai due lati della via ci sono solo tre ingressi d’abitazione. Per i pochi pedoni sono sufficienti marciapiedi stretti. Un cartello con il divieto di sosta è lì ad evitare che furgoni per le consegne si fermino ad impedire il traffico. Se si trovasse davanti alla facciata successiva, pochi metri prima della finestra di Viktor, equivarrebbe a spreco di spazio pubblico. Marie è quasi riuscita a dissipare il suo appartamento. Lei non tralasciò alcuna opportunità per lamentarsi della sua oscurità. Lui vi sarebbe marcito, questa era la prognosi, cui lui ribatteva facendo riferimento alla sua pianta casalinga, che, seppur lentamente, cresceva in maniera costante. Per rendere nota la propria salute, lui sostiene di mangiare quotidianamente frutta e di prendere in aggiunta vitamine in forma di pasticche effervescenti sciolte nell’acqua. Anche l’argomento per cui i raggi solari estivi sono causa di gravi malattie lasciava indifferente Marie. Lei restava nella sua posizione di rifiuto rispetto alla posizione del suo appartamento. Le sue parole riecheggiavano nelle orecchie di Viktor. E’ passato poco tempo da quando l’ha aiutata a togliersi gli stivali e le ha appeso per benino il cappotto, che lei s’era premurata di sfilare e apprendere sbadatamente, all’attaccapanni. Ciononostante il suo ricordo della lamentela è accompagnato da una risata caparbiamente soddisfatta. Il suo appartamento gli piace e la pianta, da quando le ha cambiato vaso, ha rigettato freschi e verdi tralci.

 

Stamattina c’è stato bisogno di due squilli da parte del postino per farlo scendere dal letto. Lo ha fatto saltare, perché il postino suonava solo quando la consegna si mostrava di particolare importanza, tanto più che lui non era uno paziente, questo Viktor lo sapeva. Se non fosse apparso qualcuno alla porta entro breve tempo voleva dire che non c’era nessuno, almeno questo era il punto di vista del postino, dunque Viktor saltò giù dal letto, s’infilò i pantaloni che erano poggiati sulla sedia accanto al letto e s’affrettò verso la porta. Il postino s’era già allontanato e Viktor si stava preparando ad affiggere la sua protesta per il sempre più ridotto margine di tempo col quale ad una persona era possibile dimostrare alla posta la propria presenza in casa, quando il postino gli si rivolse. Aveva suonato al campanello sbagliato, quello sotto al posto di quello sopra, anche perché il nome non era scritto chiaramente, i due pulsanti erano alla stessa distanza dalle etichette con i nomi, solo facendo la conta si poteva giungere ad un esito univoco, a capire cioè la corrispondenza tra il pulsante e l’etichetta. Il pacchetto non era per lui, il cui nome si trovava sotto il pulsante che aveva premuto per errore, piuttosto era per chi abitava nell’appartamento sopra di lui. Senza offesa, augurò, ed era già sparito.

Era un pacchetto eccezionalmente grande, quello che il postino aveva consegnato, così grande che neppure poteva tenerlo sotto braccio, piuttosto aveva dovuto sorreggerlo con entrambe le mani per poterlo portare su per le scale. A proposito di ciò che avrebbero potuto spedire con una simile dimensione, a Viktor frullò per la testa che avrebbe potuto trattarsi di un globo luminoso su di un trespolo in ciliegio, di una macchina da caffé italiana con una tavola staccata, la prima metà di un’edizione del Brockhaus rilegata in pelle. Prese le consuete due, tre disdette dalla cassetta delle lettere e chiuse deluso la porta, perché quel suonare pressante non era stato per lui. Quantomeno la sua malinconia era debellata ed era sceso dal letto, pensò, sfidando il desiderio di tornare a coricarsi.

Sbucciò una mela. Il pacchetto era indirizzato alla vicina che stava sopra di lui, avrebbe potuto prednerlo lui per lei, pensò. Di certo lei non era in casa. Ogni mattina usciva di casa alle sette e mezza con bravura determinata e di rado rientrava prima delle sette di sera. Le avrebbe risparmiato un viaggio all’ufficio postale e gli si sarebbe offerta l’opportunità di dialogare con lei. Negli incontri per le scale lei rispondeva ai suoi saluti e alle sua brevi domande su come stesse e sul tempo con battute concise ma cordiali. Forse lo avrebbe invitato perfino a bere un bicchiere di vino facendogli così dimenticare il pomeriggio precedente. Lasciò perdere la mela e si diresse verso la finestra del soggiorno, ma l’auto giallo granturco del postino aveva già lasciato il divieto di sosta. Mischiò la mela con cinque cucchiai di fiocchi d’avena. Finché l’acqua per il thè non bollì, lasciò cadere i fiocchi nel succo di mela, poi mise una confezione di yogurt sotto la poltiglia, una colazione che da anni gli dava l’energia per la giornata.

 

Viktor era continuamente sul punto di sedersi su di una panchina vicino all’asilo. Quando una panchina libera non viene richiesta da nessuna mamma e non è ancora abbastanza notte per i tamil con le loro carte da gioco, lui rallenta i suoi passi, talvolta si ferma per un po’. Anche oggi ha indugiato davanti a una panchina libera, ha pensato che la gioia dei bambini che giocano, lo spettacolo degli spensierati, degli sconsiderati e della vita ancora infinita gli avrebbe fatto bene. Ma anche oggi è andato oltre, il tentennamento non gli ha impedito di attraversare il parco giochi, sebbene sappia bene che non ci sarà a disposizione alcun’altra panchina libera su cui potersi sedere, per sottrarsi al cimitero. Proprio oggi vi si sarebbe sottratto volentieri, poiché non da ultimo la sua sosta al cimitero è causa del fatto che è rimasto a letto più a lungo del solito.

 

Gli era chiesto ieri se restava seduto volentieri al cimitero ed oggi non si azzarda più verso quel posticino dove fino a poco tempo prima c’era un faggio sanguigno ed ora un cartello spiegava che si era dovuto abbattere l’albero perché malato. Non per la prima volta si era seduto nella buca lasciata dall’albero abbattuto, il sole splendeva in quel punto più a lungo che in qualsiasi altro. Sì, lì sedeva volentieri, rispondeva, e solo dopo che era arrivato a casa riconosceva che razza di luce, piuttosto ombra, quella prima frase, quel gradimento che senza esitazioni gli era arrivato alle labbra, aveva gettato su di lui. Un uomo che liberamente e senza limitazione confessava di sedere volentieri in un cimitero, quell’uomo, e questo lo aveva capito solo a casa, dunque troppo tardi, poteva essere considerato facilmente come un uomo strano. Era così probabilmente, dall’inizio lo considerò in questo modo l’uomo. del quale una volta aveva saputo il nome, come uno strano, per questo è scomparso così all’improvviso. Viktor lo chiamava tra sé civetta, un uccello losco, forse perfino un innocuo balordo, Viktor si è ripromesso molto da quell’incontro. Gli ricordò i quotidiani incontri con i vicini di posto sul bus, oppure la signora alla cassa che aveva dimenticato di pesare le mele. Quando era accaduto per l’ultima volta un incontro dal quale sarebbe potuta venire una conoscenza?

L’uomo era della sua età. Portava un vestito che si capiva al primo colpo d’occhi non essere un abito da lutto portato in occasione di un funerale. Era un abituale vestito di negozio come apparivano spesso in quella città, ma di rado al cimitero. I negozi d’abiti da uomo vendevano centinaia di abiti di quel tipo agli impiegati di quegli istituti bancari e delle assicurazioni, molti dei quali avevano affittato negli edifici direzionali del centro città la loro sede centrale o quantomeno una succursale. Per lo più quei vestiti erano insieme a una camicia la cui etichetta mentiva, sostenendo che fosse facilmente stirabile, e ad una cravatta che dava poco nell’occhio.

Avrebbe dovuto scusarsi, non voleva disturbare, in nessun caso, probabilmente Viktor voleva solo sedere lì, cosa che fa certo volentieri, come avrebbe appunto confermato, così l’uomo continuò e a Viktor anche in quel momento non venne ancora in mente che la ripetizione della sua risposta era un richiamo al fatto che sarebbe stata necessaria da parte sua una spiegazione più precisa per prevenire equivoci riguardanti la sua sosta al cimitero. Probabilmente sarebbe stato sufficiente se avesse aggiunto che sedeva lì solo perché le panchine davanti all’asilo erano occupate, così l’uomo non sarebbe giunto all’idea che nel suo caso si potesse trattare di una strana civetta.

Gli avrebbe fatto terribilmente male, ma non sarebbe potuto restare in silenzio, avrebbe dovuto parlare e se non gli avesse provocato dispiacere, lo avrebbe fatto volentieri con lui, nel caso però lo disturbasse, e per dimostrarlo, sarebbe bastato un breve cenno, sarebbe andato immediatamente oltre e non sarebbe rimasto lì davanti alla sua panchina per un solo momento di più.

Il colloquio per Viktor non avrebbe potuto iniziare in maniera migliore.

L’uomo chiese se fosse in grado di dirgli che ora fosse e indicò il proprio orologio. Si sarebbe fatto confermare volentieri l’ora esatta da lui, perché in situazioni come quella dubita sempre del suo orologio, sebbene quelle funzioni perfettamente dal tempo della sua cresima e lui non abbia mai perso un aereo e non abbia fatto tardi ad alcun appuntamento, quantomeno, dal tempo della cresima, non poteva in alcun modo accusare il suo orologio di neppure un minuto di ritardo.

Viktor riportò all’uomo l’ultimo quarto d’ora che aveva sentito battere dall’orologio della chiesa, perché lui non aveva alcun orologio.

Se erano state battute le tre, allora anche oggi con il suo orologio sarebbe stato tutto apposto e dunque non gli rimaneva altro da fare che pazientare.

L’uomo fece cenno di volersi sedere sulla panchina accanto a Victor, ma si rialzò prima che la stoffa dei suoi pantaloni venisse in contatto con il legno della panchina.

La domanda circa la possibilità di sedersi accanto a lui gliel’aveva già appioppata, rise l’uomo, che non poteva starsene zitto, e le sue parole, fatto che era inevitabile, gli si sarebbero riversate addosso qualora gli avesse concesso di sedersi accanto a lui sulla panchina.

Viktor annuì, e l’uomo si sedette. La condizione dello stare seduti l’uno accanto all’altro non poteva durare. L’uomo iniziò a dondolare le ginocchia, fatto che gli impediva di tener ferma anche la parte superiore del suo corpo, e perfino le ciocche raccolte dei suoi capelli presero a muoversi sulla sua fronte. L’uomo era assolutamente cosciente della sua inquietudine e già dopo breve tempo accavallò le gambe per impedirne qualsiasi movimento e bloccò le mani infilandole tra le cosce. Condannato all’inerzia tentò alcune volte di sfilare avanti e indietro, poi fece un salto dalla panchina, sollevato, mandò un sospiro profondo, come uno che dopo anni di carcere viene liberato dalle catene. Si girò sul proprio asse e si posizionò dietro la panchina. Mentre scalpicciava con i piedi sulla ghiaia sollevando piccole nuvole di polvere che come in un film in bianconero si posava sulle sue scarpe basse, riprese il cammino.

Al più tardi alla quattro, lo sapeva bene. Alle quattro! C’era ancora quasi un’ora intera. Una fortuna che lo abbia chiamato. Se non si fosse trovato seduto su quella panchina, Viktor non avrebbe saputo come sopravvivere a quell’ora. Avrebbe già temuto che quella di venire al cimitero era stata una cattiva idea. Qui non avrebbe potuto contare su di una persona paziente come lui, seduto ad un bancone da bar la possibilità di incontrare un uomo che si sarebbe intrattenuto con lui per un’ora sarebbe stata sicuramente maggiore. Ma appoggiato ad un bancone ci sarebbe stato il pericolo che dopo un’ora fosse ubriaco, e questo, indipendentemente da come avrebbe deciso la commissione, sarebbe stato un fatto funesto. Non potrebbe permettersi di tornare in ufficio ubriaco, perché gli verrebbe senza dubbio attribuito come una debolezza insostenibile il non sapersi aiutare in simili situazioni se non ubriacandosi. Nel peggiore dei casi un simile evento porterebbe perfino ad una nuova valutazione della situazione. Ma lui ha avuto fortuna, ha incontrato un uomo che gli accanto in quest’ora, e di questo gli è grato.

Viktor girò gli occhi in attesa di vedere l’uomo negli occhi. Lui era contento che gli fosse grato e voleva regalare un caldo sguardo a colui che aveva detto quella bella frase. Ma l’uomo fissava le punte delle sue scarpe che continuavano a raspare meccanicamente, e questo durò un po’ di tempo, finché l’immagine delle scarpe impolverata penetrò nella sua coscienza e diventò cosciente di quello scalpicciare. Fece un ulteriore tentativo di sedersi. Fallì nuovamente nella sua irrefrenabile stimolo al movimento. Mise una scarpa sulla panchina e prese a dondolare con il corpo avanti e indietro. Ora stava di fronte a Viktor e tirò fuori dalla tasca posteriore il suo portamonete.

L’altro ieri suo figlio aveva compiuto tre anni. Ahi ahi, già tre anni, esclamò l’uomo battendo la mano sul ginocchio. E sta per arrivare il secondo. L’hanno saputo con certezza solo da un paio di settimane. C’era stata una festa di compleanno per il piccolo. Per la prima volta aveva potuto invitare i suoi amici. Iniziano un po’ troppo presto, i bambini, a desiderarsi e rifiutarsi l’un l’altro. E lui, il piccolo, sapeva esattamente chi invitare e chi no. L’intera sera prima aveva gonfiato palloncini, sua moglie non li gonfia volentieri, così come insaliva volentieri i francobolli o le busta che non si incollano da soli, non lo può sopportare, ecco perché cucina in maniera eccezionale.

L’uomo allungò a Viktor una fotografia dov’era riprodotto un piccolo bambino biondo che sedeva su di un enorme pezzo di dolce. Viktor rise e diresse ancora una volta lo sguardo caldo verso l’uomo.

Un bel bambino. Occhi svegli. Suo figlio aveva sicuramente un carattere eccezionale, lo si capiva facilmente. Con la sua volontà certo qualche volta metterà in imbarazzo i suoi genitori.

In imbarazzo, rise l’uomo, questo è dire poco, una smisurata sottovalutazione. Di regola, quando lui torna a casa la sera, il piccolo prende in giro sia la madre che il padre. E’ incredibile come un essere di tre anni possa avere nella sua piccola testa idee così fisse. Un mese prima, durante quel week-end eccezionalmente caldo, se ne erano andati a fare una gita in mezzo al verde, avevano lasciato l’auto al margine del bosco e con armi a bagagli e si erano immersi nella frescura rigenerante. Avevano trovato un bel posticino vicino ad un ruscello dove avevano steso la loro tovaglia per il picknick. Il piccolo era corso subito verso il ruscello. L’acqua per i bambini è attraente almeno quanto il fuoco, quanto tutto ciò che è pericoloso e tiene in apprensione i genitori. Lui gli era corso subito dietro e l’aveva acchiappato appena in tempo per la cinta dei pantaloni, per togliere a lui e a sé le scarpe, prima di mettersi a sguazzare insieme nell’acqua fredda. In un punto dove l’acqua era bassa lui aveva iniziato ad ammucchiare pietre per fermare la corsa del torrente. Per il piccolo si trattava del primo ristagno di un torrente. Lui, il padre, sebbene avesse superato da tempo l’età dell’infanzia, non poteva fermarsi accanto ad un ruscello senza farlo ristagnare. Ovviamente il piccolo non si era minimamente interessato dell’esperienza del padre; con molta precisione, lui che per la prima volta fermava il corso di un ruscello, aveva mostrato al maestro ristagnatore i punti dove si dovevano piazzare le pietre.

L’uomo rimise la foto nel suo portamonete e cadde d’improvviso in uno stato di profonda riflessione.

Di sicuro il piccolo era riuscito in un’impeccabile opera di ristagno del ruscello, disse Viktor durante la pausa prodottasi con gli attimi di riflessione dell’uomo.

Prima di qualsiasi inizio aveva giocato con l’idea di collocare un biotopo nel giardino davanti casa e a questo naturalmente doveva contribuire anche un piccolo ruscello.

All’uomo le parole uscirono dalla bocca senza convinzione, senza la forza di una rappresentazione figurata. Le pronunciò ma con i suoi pensieri già stava divagando. Iniziò a far crocchiare le dita più piccole della mano sinistra. L’ansia da cui, giuntura dopo giuntura, l’uomo si liberò si trasmise a Viktor. Lui si mantenne calmo fino all’anulare della mano destra, poi lo interruppe.

Nel giardino aveva piantato anche fiori o esclusivamente verdure. Era l’unica possibilità, in città, di giungere ad un proprio pezzo di verde che superi la superficie di un contenitore da balcone, certo quella di pretendere un orticello con pergolato era in ogni caso un’idea che non aveva mai preso in seria considerazione.

Viktor notò appena in tempo che lì non poteva proseguire. Con il suo parlare era penetrato nel pesante silenzio dell’uomo. Nella conversazione sui giardini avrebbe parlato a vanvera. Il giardinaggio gli era totalmente estraneo. Quando mai, ripensò, forse non doveva rimanere così, infine si sentì prossimo alla natura quando il faggio sanguigno non gli aveva riservato neppure una notte insonne. Aveva cura della sua pianta casalinga non tanto per sfidare Marie, piuttosto perché felice di vederla prosperare. Si ripromise di estendere in futuro la propria ricerca di un posto di lavoro anche al mestiere del giardiniere. Si candidava di regola come muratore o come falegname non perchè fossero mestieri che aveva imparato, piuttosto perché convinto di potersi appropriare della manualità del muratore e del falegname. Si era proposto anche come fabbro e meccanico di precisione, una volta perfino come boscaiolo, ricordava dunque di essere già andato molto vicino al mestiere del giardiniere. Non poteva fare danni, forse c’era per lui un posto come aiuto giardiniere, così da poter mettere piede nelle aiuole o sui prati erbosi.

Tutto questo era un grande rischio, sospirò l’uomo allentandosi ed avvicinandosi alla panchina di Viktor. Guardava l’orologio. Forse proprio in quel momento, esattamente otto minuti prima delle quattro, verrà deciso il suo destino. Se la commissione giunge ad una decisione sfavorevole, se la questione muta e il direttore di sezione non può mantenere la sua promessa che gli aveva fatto con una forte stretta di mano proprio quando se n’era andato dall’ufficio, allora tutto è perduto.

Viktor avrebbe detto volentieri qualcosa di tranquillizzante. Se l’uomo si fosse seduto nuovamente accanto a lui, Viktor avrebbe potuto forse appoggiargli una mano sulla spalla. Aveva mani gradevoli, calde e morbide, si tagliava le unghie con regolarità, senza mangiarle, anzi, le limava, se necessario. Marie aveva sempre lodato le sua mani.

Per cose di questo tipo ci sono solo cattivi momenti, questo, ovviamente, lo sapeva, e quello attuale era immaginabile come un cattivo momento. Il secondo stava per arrivare, la nuova casa tappezzata, ma di gran lunga non ancora del tutto arredata. Anche lo volesse, non potrebbe immaginarsi che cosa significherebbe.

L’uomo si portò le mani al viso e interruppe il suo andare e venire, come se volesse immaginarsi ciò che gli sarebbe potuto accadere nei minuti successivi. Viktor si alzò e fece un passo impacciato in direzione dell’uomo.

Era del tutto certo che la commissione non avrebbe preso alcuna decisione diversa da quella del suo superiore. Non può arrivare ad un altro esito, perché è sotto gli occhi di tutti come lui dia buona prova di sé, a chiunque abbia un minino di raziocinio salta subito agli occhi la sua bravura e le commissioni sono composte senz’altro da uomini ragionevoli. Non dovrebbe dunque preoccuparsi.

Viktor percepì che tra lui e l’uomo c’era un legame e voleva cogliere l’occasione per legarsi a lui. La comprensione che provava per lui non poteva sfuggire neppure all’uomo. Lì si erano incontrati due uomini che potevano sedere insieme su di una panchina, sebbene in quel momento se ne stessero davanti ad essa in piedi.

Lui non aveva detto nulla di tutto questo a sua moglie. L’uomo scosse la testa. Lei dovrebbe riguardarsi. Non ama raffigurarsi come si comporterebbe se in futuro sedesse con lei a tavola, se dormisse e si svegliasse con lei accanto, senza poter parlare con lei della peggiore delle possibilità, quella che da lì a qualche minuto potrebbe davvero piombargli addosso.

 

Il cellulare suonò nel momento di massima apprensione. Viktor reagì come se il livido pallore sul volto dell’uomo fosse diventato ancor più smorto. L’uomo tirò fuori lentamente il telefono dalla giacchetta per poi premerlo frettolosamente sull’orecchio. L’uomo rimase in trepidazione per un solo secondo, poi la tensione si sciolse in una gioiosa radiosità. Non c’era alcun dubbio, il suo superiore rese felice il collaboratore comunicandogli la notizia che restava tutto invariato, che l’esame della commissione confermava ciò che lui aveva pronosticato. L’uomo si mise a ridere e restando al telefono si allontanò di alcuni passi da Viktor. Questi lo seguì con lo sguardo finché non scomparve dietro una tomba. Si mise a sedere ed attese.

Passarono diversi minuti prima che Viktorr intendesse che l’uomo non si sarebbe più fatto vivo. Era tornato al suo ufficio, senza dare la possibilità a Viktor di congratularsi per il buon esito della storia. Ancor più tempo passò prima che la sorpresa per l’improvvisa uscita di scena si rovesciasse in tristezza. Il sole era tramontato ed era ormai sera quando Viktor si alzò e se ne tornò a casa.   

 

(Traduzione: Vito Punzi)

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