Daniel Wisser, A

Nato nel 1971 a Klagenfurt, vive a Vienna. Dal 1990 scrive opere in prosa e lirica, ma anche opere radiofoniche e lavora come curatore ed editore di letteratura contemporanea.

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STANDBY

© 2011 Daniel Wisser

Traduzione: Vito Punzi

 

 

STANDBY

 

Si tocca la fronte. Pensa un’espressione, emicrania oculare. È così che lui indica quel mal di testa. Si possono distinguere sette o otto tipi di mal di testa. La donna ritiene che lui sia costantemente malato, sia sempre raffreddato. Dovrebbe indagare la condizione dei seni frontali. Ma l’emicrania oculare e una leggera nausea non sono stati scatenati da un’incipiente infezione influenzale.

Mattina di sabato. Di sabato non si lavora. Ed anche domani non potrà andare in ufficio. Lui non ama il sabato e neppure la domenica. Lui non si rallegra del fine settimana.

Sul tavolino, accanto alla pila di libri, al bicchiere d’acqua dal quale durante l’intera notte non è stato bevuto neppure un sorso, ed accanto al cachet viene ritrovato il cellulare. Osserva il display: nessuna chiamata persa. Il cellulare dev’essere sempre pronto, perché lui il fine settimana si mette in standby. Tempo di reazione massimo 20 minuti. Tempo di risposta massimo 60 minuti.

Forse dovrebbe prendere ora, immediatamente, un cachet. Probabilmente però questo sabato, dopo essersi alzato, il mondo si mostrerà in una forma completamente nuova. Lui sarà stato lasciato da sua moglie; suo padre sarà morto, si sarà addormentato tranquillo, nell’ospizio, e non si sarà più risvegliato. Ed Eva gli si farà incontro – già domattina, subito!

Non c’è nulla di più doloroso che attendere il trascorrere di un giorno, di un’ora, di una settimana. Lui s’immagina come quotidianamente, nel ricovero, il padre attenda ogni pasto senza voler davvero mangiare. Con l’ingestione di preparati a base di morfina l’appetito si riduce e la defecazione è uno strazio. Per il padre la colazione, il pranzo e la cena sono occasioni di controllo che mostrano solo che il tempo non s’è inchiodato, che lui non attende inutilmente la morte. Pensa che i giorni diventino tanto più brevi quanto più lui invecchia. Ma lui interrompe i suoi pensieri poiché non ha senso attardarsi con speculazioni sulla permanenza, sul rallentamento o sull’accelerazione del tempo. E certo non può dimenticare una frase a proposito della quale non ricorda più dove l’ha sentita pronunciare: il tempo non conosce alcun fine settimana.

Per poter sopravvivere al sabato esegue riparazioni in casa, cambia le lampadine, applica programmi d’aggiornamento al computer e smaltisce i rifiuti normali e quelli speciali. Di sabato lui si occupa dell’auto: pulizia esterna, pulizia interna ecc. Presto, pensa, un auto non significherà più nulla, non avrà più alcun valore. Non ci sarà più benzina per farla partire. Cambierà la locomozione. Un’enorme ondata regionalizzatrice suddividerà politicamente il mondo, solo che non sarà più a disposizione una visione d’insieme dell’intera situazione.

Tutto questo avrà i suoi aspetti positivi ed anche gli uomini semplici torneranno a vivere secondo principi salutari, dei quali il più importante sarà la volontà di morire. Questa volontà lui la possedeva già da bambino. Provava piacere nel raffigurarsi la propria morte, così come quella degli altri. Una catastrofe, un’ondata di piena, qualcosa di eccezionale, anche oggi sarebbe migliore del visitare ogni sabato il padre nel ricovero e del dover osservare da vicino quell’insensato vivacchiare.

Gli toccherà sopravvivere a questo sabato. Dovrebbe alzarsi. Contare a ritroso da dieci a zero ed alzarsi una volta arrivato allo zero. Allo zero raddrizza il tronco e tira fuori le gambe dal letto. Dieci. Gli ordini per il movimento delle gambe non sono stati eseguiti. Nove. Dovrebbe sollevarsi, dunque deve tirare via anzitutto le coperte dal corpo. Otto. Per la serata di giovedì è stata concordata una passeggiata insieme ad Eva. Di certo l’incontro verrà annullato da Eva all’ultimo momento. Precedentemente Eva ha lavorato con lui nel reparto. Quattro anni prima Eva era stata introdotta a scuola da lui. Sei. Durante il tempo della scuola entrambi risero molto, risero di quanto creduto e da tempo dimenticato, come il telefono per quattro, il Winter Games nel commodore 64, oppure del Dipingere secondo i numeri. Contare secondo i numeri. Pensando ad Eva l’ultimo numero era stato dimenticato. Il contare da dieci a zero dev’essere ripetuto. Viene accertato un crescendo, un’intensificazione del mal di testa nell’occhio. Al momento il letto non può essere assolutamente abbandonato. Non può essere individuata accanto a lui alcuna parte del corpo della donna. Probabilmente lei dorme davanti al televisore acceso che si trova sul divano, nel soggiorno.

Non ricomincia a contare e non muove nessuna parte del corpo, tuttavia gli si risvegliano dei ricordi – ricordi del giorno nel quale gli era stata presentata Eva. Questo accadde quasi quattro anni addietro, il 6 settembre 2004. Gli si rese visibile l’amministratrice, ed accanto a lei c’era la nuova collaboratrice. Gli venne allungata una mano pallida, un poco tremolante. Quella mano venne agitata controvoglia, per essere poi rilasciata. Lui dà la mano poco volentieri.

Eva sedeva ogni giorno accanto a lui presso la sua scrivania e spiegava le funzioni fondamentali del software e i suoi campi d’applicazione. Eva portava per lo più abiti chiari o bianchi. La sua pelle invece non può essere indicata come chiara o bianca, piuttosto come trasparente. Lui poteva riconoscere chiaramente i vasi sanguigni di Eva. Talvolta poteva perfino vedere attraverso la pelle, fino al suo cuore.

E poi andarono talvolta a mangiare insieme. La cosa che faceva più volentieri era studiare i movimenti di Eva, quando entrava nel ristorante o quando ne usciva, oppure quando si dirigevano verso l’auto di lui. Le mani di Eva toccavano qualsiasi oggetto con titubanza. Quando indicava un punto dello schermo, lei prestava la massima attenzione, affinché le punte delle sue dita non ne toccassero la superficie. Questa avvedutezza di Eva venne registrata con grande gioia, poiché quelli che toccavano il suo schermo suscitavano l’ira di lui.

I colloqui durante il pranzo col tempo avvennero con minore prudenza. Presto per quelli ci fu bisogno di più di un’ora. Eva portava sempre più spesso i capelli rigorosamente raccolti all’indietro. Un giorno per questo motivo ricevette un complimento. Quando Eva ringraziò, la sua gola tremò più del solito. Il suo sterno venne scosso con regolarità dal battere della carotide. Nella ditta si parlò a lungo dei due.

Per prima cosa deve andare alla toilette prima che la donna si svegli. La toilette lui la chiude sempre a chiave, perché non vuole essere sorpreso. La cosa migliore sarebbe che quando lui usa il WC la donna non si trovi nell’appartamento. Due anni fa venne appurato per la prima volta un odore sgradevole provenire dal suo corpo.

Lui non potrà salvare Eva dal deperimento. Lei è troppo imprevedibile. Dopo la catastrofe ci sarà bisogno di uomini in grado di agire autonomamente. Le donne partoriranno bambini ed allatteranno bambini e uomini. Lavoreranno, cucineranno e difenderanno il territorio.

Trattiene il respiro. Può sentire la televisione che si trova nel soggiorno. Il vibrare del frigorifero nella cucina. Il coperchio del bidone dell’immondizia che si trova nel cortile interno viene chiuso provocando un gran rumore. Tutto questo non viene udito dalla donna. Il problema che ha lui è che sente tutto, che lui può sentire tutto: mentre la donna non percepisce i rumori dell’ambiente, questi producono in lui chiasso e creano alte frequenze. Le elevate e pulsanti tonalità ad ultrasuoni dei sistemi di difesa dai topi, il raschiare di una forchetta o di un coltello su di un piatto, il sibilare di utensili elettrici, i rumori dell’impianto di riscaldamento a gas e del frigorifero. Anche la televisione emette costantemente un tono elevato che a quanto pare non viene colto dalla donna; se se ne accorgesse sarebbe impazzita già da tempo.

Pressa un cachet fuori dalla confezione. Afferra il bicchiere di vetro dal quale per l’intera notte non è stato bevuto neppure un sorso.

Già quattro anni fa lui aveva preso in considerazione l’ipotesi di fare ad Eva una proposta si matrimonio. Certo sarebbe stato necessario provvedere prima a togliere di mezzo sua moglie. Quella non veniva sentita come particolarmente fastidiosa, ma certo Eva avrebbe insistito per una soluzione più pulita. Già all’età di dodici anni lui aveva auspicato la morte di qualcuno, quella della moglie dello zio. Il giorno successivo, quando il padre comunicò la notizia alla famiglia, lui dovette fingere un certo cordoglio.

Tuttavia, a proposito della donna non poté mai essere presa un’equivalente risoluzione interna, neppure di eseguire il necessario, così il matrimonio con Eva venne costantemente procrastinato. Inoltre, sarebbe stato necessario, o comunque meglio, che Eva o lui stesso si fossero prima licenziati. Allora, alcune settimane dopo che Eva era entrata in ditta, l’amministratrice, nel contesto di una ristrutturazione, offrì a lui il posto di responsabile del call-center. In ogni caso, durante un colloquio attinente a ciò, lui venne interpellato anche a proposito dei regolari pasti condivisi con Eva. La risposta che diede, cioè il fatto che fosse sposato e che l’andare a mangiare con qualcuno fosse una faccenda privata, venne ricambiata con una risata. All’osservazione che l’andare a mangiare con qualcuno fosse una questione privata l’amministratrice rispose con un ghigno. E siccome le questioni private potrebbero anche cambiare, l’amministratrice non avrebbe dovuto alludera al fatto che rapporti intimi o relazioni tra collaboratori della ditta sarebbero stati tollerati malvolentieri, e addirittura non sarebbero stati tollerati per nulla se avvenuti nel contesto dello stesso settore.

Durante il pranzo questo colloquio venne raccontato ad Eva. Per precauzione decisero di non scambiarsi più e-mails agli indirizzi della ditta.

Lui ne restò confuso. Con la forchetta prese ad analizzare lentamente il polpettone che aveva nel piatto, lo spinse al margine e lo capovolse. Il fatto che sotto il polpettone fosse del tutto chiaro e all’interno in buona parte ancore crudo lo irritò. Eva non si congratulò con lui per il suo nuovo posto di capo reparto. Il ketchup era stato servito con poca cura su di una foglia d’insalata già appassita. Il sugo dell’arrosto s’era distribuito sull’intero piatto ed aveva ammorbidito le patate fritte. Il piatto con il polpettone venne collocato su di una catasta di basi per bicchieri di birra, così che il sugo dell’arrosto finì per raccogliersi di lato, mentre le patate fritte rimasero sull’altro lato, all’asciutto. Con Eva rimase d’accordo che la settimana successiva sarebbero andati al cinema a vedere Hana-Bi. Poi brindarono insieme.

Lui aveva ancora bisogno di tempo prima di mettere fine al matrimonio, prima di sbarazzarsi di sua moglie. Avrebbe dovuto forse picchiarla, oppure tradirla apertamente, facendo così in modo che fosse lei a lasciarlo? Il viso di Eva venne osservato con la coda dell’occhio. Dava l’impressione che lei si stesse concentrando esclusivamente sul proprio cibo; tuttavia lui si accorse che le gambe di lei, sotto il tavolo, si stavano muovendo, e si accorse anche di come batteva il suo cuore. In quel momento non poteva più guardarla negli occhi. Lui voleva andare al cinema, subito. All’istante. O comunque subito dopo il lavoro. Pensò perfino di proporglielo. Ma si mise a mangiare in tutta calma il polpettone diventato ormai freddo. Con fare rapido pagarono e si alzarono. Arrivati al parcheggio, con un gesto galante aprì la porta dell’auto di Eva.

La sera riempì la lavatrice per tutta la sua capacità e in seguito inserì il ciclo di lavaggio più lungo: cotone stirabile con prelavaggio (regime di centrifuga: 800 U/min). Durata: duecentoquaranta minuti. Se sceglieva il ciclo di lavaggio stirabile il tasto blocco per macchie non doveva essere premuto. Quando la donna rientrò in casa, andò in bagno e si spogliò, il programma di lavaggio che lui aveva avviato non era ancora terminato. E questo lui l’aveva fatto con intenzione. Lei si ritrovò così con l’impossibilità di lavare gli indumenti che s’era tolta e dunque lo ripose nel portabiancheria, riempiendolo. Quando la donna uscì dalla doccia mise piede nel bagno. Rimase atterrita. Davanti a lei gli indumenti che aveva pressato nel portabiancheria vennero tirati fuori e annusati da lui con un suono piuttosto rumoroso dell’inspirazione e con gli occhi chiusi.

Dopo essersi alzato lui va in soggiorno. Come previsto, la donna è distesa sul divano e dorme. La televisione è rimasta accesa per tutta la notte. Sullo schermo tremolano le temperature massime del giorno nelle località di vacanza, le direzioni e la forza dei venti.

Nella toilette viene segnalato che nel rotolo di carta è stata caricata la parte finale della carta igienica. Nel bagno l’estremità del manicotto da doccia non risulta inserito nel supporto previsto e piuttosto è stato poggiato nella vasca. Se il lavandino viene trovato imbrattato la crosta marrone viene tolta sempre con lo spazzolino da denti della donna, dopodichè la spatola viene ricollocata nell’apposito contenitore. In cucina la confezione del latte, invece di essere rimessa nel frigorifero dopo l’uso, è stata lasciata sulla tavola da pranzo per l’intera notte. Sulla tavola c’è anche una scatola di fiammiferi, contenente fiammiferi già usati insieme ad altri ancora integri. Apre la lavastoviglie. Le stoviglie che vi sono all’interno sono pulite, ma il cestello per le posate non è stato usato per lavare le luride forchette da dessert utilizzate per mangiare una torta alla crema. In qualsiasi direzione si diriga lo sguardo si scoprono solo caos e disordine.

Sveglia la donna che dorme nel soggiorno. E questo lo ottiene con un energico battere con la mano aperta su di un bracciolo del divano, dunque senza toccare la donna. Lui chiede se lei l’accompagnerà al ricovero. Ogni sabato lui si reca lì per far visita al padre. Chiede una seconda volta. Nessuna risposta.

Nel giorno stabilito per andare al cinema con Eva a vedere Hana-Bi invece di tornare a casa dal lavoro, come ogni giorno, alle sette e mezza, arrivò alle quattro. Lui si chiese come sarebbero stati seduti l’uno accanto all’altra. Chi si sarebbe seduto a sinistra, chi a destra? Si sarebbero concentrati poco sul film e piuttosto sul respiro dell’altro. Sulla posizione delle braccia sul bracciolo tra le poltrone. Lui entrò ancora una volta nel bagno per darsi più deodorante e così lasciare l’appartamento. Andò ancora una volta nell’anticamera per guardarsi allo specchio ed uscire subito dopo dall’appartamento. Entrò una terza volta nell’appartamento per togliersi nuovamente la cravatta. Poi la porta di casa fu finalmente chiusa. In quel momento suonò il suo telefono cellulare. Non si trattava di un cliente. Non era neppure sua moglie. Era Eva.

Seguì un lungo monologo, mentre lui, le chiavi in mano, se ne stava ancora davanti alla porta d’ingresso dell’appartamento. Eva disse che nel pomeriggio era andata a prendere il nipote all’asilo e poi aveva giocato con lui a casa sua. Mentre giocavano, senza volerlo, il nipote aveva pestato gli occhiali che lei aveva lasciato sul pavimento, così una delle due lenti s’era rotta. A quel punto, senza occhiali, avrebbe avuto poco senso andare al cinema. Lui rientrò per una quarta volta nell’abitazione. Continuava a tenere il cellulare all’orecchio e mentre continuava a discutere del problema degli occhiali s’arrabbiò per aver lasciato inutilmente l’ufficio già alle quattro. Eva propose di incontrarsi in un night. Furono citati il nome e l’indirizzo del night. Poi fu fatto un errore. Si acconsentì alla proposta.

Dopo aver chiuso il telefono gli fu chiaro che lui Eva la conosceva troppo poco. D’improvviso era scappato fuori un nipote. E presto magari si sarebbero scoperti mariti ed amanti. Era strano anche il modo in cui era stata introdotta quella storia tortuosa: lei era andata a prendere suo nipote all’asilo. Come se questo fosse di chissà quale importanza. Sarebbe stato rilevante se l’intera storia fosse stata falsa e tuttavia dovesse apparire plausibile. In casi simili s’inventano sempre dettagli.

Lui arrivò al locale con una mezzora d’anticipo. In alto, ad una parete del bar erano appesi quattro orologi, al di sopra dei quali erano indicate le città di Vienna, New York, Sydney e Johannesburg. Gli sgabelli del night erano avvitati al pavimento, in ogni caso erano collocati troppo lontano dal bancone. Così lui, per poter raggiungere la ciotola con le noccioline, dovette piegarsi in avanti. Dagli amplificatori incalzava il jazz degli schiavisti. Nell’intero locale era diffuso l’odore di un purificatore di WC. Fu ordinato un Martini.

Eva arrivò con venti minuti di ritardo. Ovviamente venne posta anzitutto la domanda relativa agli occhiali. Eva non si era in alcun modo scusata del fatto che non si potesse andare più al cinema, che non si potesse più vedere quel film che pure lei a pranzo aveva detto essere da non perdere. Ancor più lo deluse il fatto che lei non avesse con sé gli occhiali rotti. Interrogata sulle lenti a contatto, Eva rispose eccitata che in effetti ne possedeva e tuttavia non le sopportava. Eva intonò poi un monologo relativo alla frenesia di quella giornata. Tuttavia venne presto di nuova interrotta, perché lui le chiese circa un paio di occhiali sostitutivi. Era chiaro che Eva non voleva parlare del problema. Ne seguì un silenzio greve che durò alcuni minuti.

In seguito il dialogo venne riavviato. Dopo un Martini e un Gin Tonic, lui ordinò un altro Gin Tonic. Eva lodò il locale usando parole esagerate. Come risposta a quella lode lui lesse l’ora indicata dall’orologio al di sopra del quale c’era la scritta Sydney. Fu servito il secondo Gin Tonic. La camicetta perfettamente stirata della cameriera, che quando lei si piegava offriva allo sguardo i giovani seni della ragazza, lo stregò. I capelli erano raccolti a treccia. Dalle sue orecchie appena sporgenti pendevano due enormi creoli. Lei lo guardò così a lungo negli occhi che lui non poté reggere quello sguardo. Lui perse il duello. Andò alla toilette e programmò nel cellulare un segnale d’allarme che sarebbe scattato da lì a dieci minuti.

Tornò dalla toilette al tavolo ed il colloquio proseguì. Lui pensò che sarebbe stato meglio programmare l’allarme entro cinque minuti, non dieci. Finalmente il cellulare suonò. Si uscì, simulando una telefonata, fu pagato il conto con la carta di credito, ci si scusò. Quella sera la mano di lui era rimasta lontana solo alcuni millimetri dall’avambraccio di Eva. Avrebbe dovuto cogliere al volo l’occasione e dichiarare il suo amore. Eppure il contatto con Eva quella sera venne tralasciato.

A casa si sedette da solo sul divano e prese a fissare la televisione, senza accenderla. Bevve della vodka pura, perché se ne stava già troppo comodo per mettersi a preparare un Martini. Davanti alla porta di casa si rovistò in una borsa per almeno un minuto, alla ricerca di una chiave. Infine la porta fu aperta. La moglie appoggiò la borsa nell’anticamera e s’infilò subito nel bagno. La donna se ne stette a lungo sotto la doccia, avviò la lavatrice e infine si presentò in soggiorno. La moglie di solito infila troppa biancheria nella lavatrice, così il sifone finisce col spingerla anzitempo nel contenitore di lavaggio. In questo modo nel cestello della lavatrice si forma una grande quantità di schiuma. La donna viene costantemente sollecitata da lui e prestare attenzione all’indicatore della quantità di detersivo. Gli venne chiesto se era uscito. Lui rispose che non era andato al cinema. Perché una cravatta nell’anticamera? Silenzio. Accese la televisione.

Si percorre lentamente la strada che porta al ricovero. Questo si trova a soli dieci minuti dall’appartamento. Appena entrati si può identificare il penetrante odore dell’ospizio. La receptionist gli fa un cenno indicandogli con l’indice di una mano i piani superiori. Questo significa che il padre si trova in camera e non nella caffetteria. Bussa due volte alla porta spalancata della stanza.

La giornata di ieri è trascorsa esattamente come quella di oggi, solo con meno dolori. Apre il giornale che lui ha portato con sé. Il padre non l’ha mai stato chiamato come tale, o come papà, piuttosto sempre e solo con il suo nome di battesimo. Per questo motivo, quand’era bambino, lui è stato sbeffeggiato dai suoi compagni di scuola e dai suoi amici, e successivamente anche da sua moglie. I dolori il terzo giorno erano diventati così acuti che il dottore gli aveva concesso di cambiare l’impiastro ogni due giorni. Il giorno dopo s’era sentito molto stanco, aveva dormito di continuo, sebbene, secondo il dottore, fosse piuttosto agitato. Una dose maggiore non avrebbe potuto dargliela. In aggiunta aveva potuto prendere solo le gocce.

Il giorno prima aveva seguito l’apertura delle Olimpiadi di Pechino. S’era trattato di uno spettacolo – a metà tra il denaro e Hitler. Mette nuovamente da parte il giornale. Lo leggerà domani. Non ha più alcun interesse per la politica, neppure per la noia paralizzante prodotta dalla cosiddetta politica interna. La democrazia è la dittatura dei malati nello spirito e dei dementi. Se si fanno dipendere le abilità di uno stato dal successo della maggioranza finiscono col dominare simili condizioni. Il fatto che si debba leggere di questo – probabilmente con interesse – è un’insolenza.

Il padre trema piuttosto intensamente, così la zuppa gli si versa ed ogni volta il cucchiaio, quando gli arriva in bocca, è vuoto. A lui viene chiesto perché sua moglie non sia venuta neppure questa settimana. Hanno forse litigato? La risposta la dà lo stesso padre: Ovviamente c’è stato un litigio, questo lo nota anche lui. Non si è sposato due volte invano: certe cose le nota subito.

Tace. Ora sono passate da poco le cinque, dice il padre, e lui ha già cenato. Ha davanti a sé ancora lunghe ore prima di poter iniziare a comportarsi come se dormisse. La televisione resta accesa per tutto il tempo. L’ospizio in realtà è un campo di concentramento per storpi ed impediti a vivere.

Lui ama soprattutto essere bruciato e che siano disperse le sue ceneri. L’idea di venire sepolto la trova terribile. Non vuole essere sepolto in nessun luogo, da morto vuole piuttosto essere lasciato in pace. La visita regolare lì viene sentita d’improvviso come una grande ingiustizia nei confronti del padre. Come ingiustizia e insieme come auto-inganno. Deve salutare la moglie, ma non cordialmente, deve semplicemente salutarla. Per tornare verso casa attraversa il parco.

Nel parco si siede su di una panchina, osserva un albero ed inspira a lungo. Insegue la lancetta dei secondi dell’orologio da polso. Per dieci secondi inspira e per venti secondi espira. Due respiri al minuto. Riuscirebbe forse a vivere anche con un respiro? Mentre respira lui scompare lentamente, non lo nota più nessuno. Uno scoiattolo con in bocca ciò che resta di una nocciola salta da un albero, corre sulla panchina sulla quale lui siede e si ferma ad alcuni centimetri da lui. Che animale degenerato, questo, che non si fida del silenzio! Lui non ama gli animali, non ama mangiarli e neppure vederli. All’ingresso principale del parco una donna viene aggredita da un cane.

Nello stesso momento, a casa, la donna telefona al padre. Gli viene comunicato che non c’è stato alcun litigio e nessuna crisi matrimoniale.                     

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